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L'arte millenaria della Porcellana: storia e principali tecniche

L'oro bianco del mondo

L’arte della porcellana è protagonista di una vicenda millenaria che ha origine nelle botteghe dell’Estremo Oriente per poi diramarsi nel continente europeo, dove si tinge di imprese divenute leggenda. Nel 1291 Marco Polo torna dal Catai con sete, broccati e i resoconti de Il Milione, la descrizione del mondo. Il viaggiatore approda a Venezia con un piccolo vaso di argilla bianca, attualmente custodito nella Basilica di San Marco. Si tratta di un materiale lussuoso, mai visto prima di allora, che viene ribattezzato “oro bianco”. Invece, il termine “porcellana” – il nome di una conchiglia dei mari orientali simile alla vulva del maiale femmina – è un volgare epiteto rivolto dai giovani veneziani alle belle ragazze. L’“oro bianco” diventa addirittura la causa della bancarotta di innumerevoli principi e rappresenta un vero e proprio arcano in quanto, per cinquecento anni in Occidente, il segreto della sua creazione resta avvolto nel mistero. D’altro canto, tuttora modellare la porcellana significa fronteggiare parecchie insidie: una irregolarità anche minima può causare fratture e la cottura richiede temperature superiori ai 1300 gradi per ottenere le tipiche caratteristiche di bianchezza, durezza e trasparenza, insieme a quella emozionante risonanza che si ottiene picchettando il bordo di un recipiente 

Edmund de Waal, uno dei più grandi ceramisti della contemporaneità, ha studiato a lungo la tradizione della porcellana spingendosi fino alle botteghe della cittadina cinese di Jingdezhen, dove tutto ha inizio. Nel suo imprescindibile testo La strada bianca il ricercatore ricostruisce l’appassionante vicenda dell’“oro bianco”, definendone preliminarmente le caratteristiche:

“La porcellana è composta da due tipi di minerale. Il primo elemento è il petunzè, detto anche roccia porcellana. Secondo il vivido immaginario utilizzato qui a Jingdezhen, della porcellana il petunzè è la carne, ciò che la rende traslucida e garantisce la durezza del corpo. Il secondo elemento è il caolino, la terra porcellana, che invece rappresenta le ossa. A esso è dovuta la plasticità dell’impasto. Queste scoperte non sono dovute a chimici o esperti minerari, ma ai vasai stessi nel momento in cui devono alterare una partita di argilla in modo da realizzare oggetti particolari, o riflettono sul motivo per cui queste coppe si sono deformate, o si trovano a subire un aumento dei prezzi da parte del fornitore[…]

Le origini orientali

Cina 

Come si è detto, i primi vasetti monocromi in porcellana sono prodotti in Cina, verosimilmente al tempo della dinastia Tang (618-907).  La superficie liscia e traslucida di questi prototipi evoca la giada bianca. Successivamente, durante l’epoca Song (960-1279), l'imperatore istituisce fabbriche imperiali per la realizzazione di pezzi pregiati ridipinti con il céladon, uno smalto vetroso che va dal verdazzurro al grigioverde. Con l'avvento della stirpe Ming (1368-1644) la porcellana raggiunge una maggior produzione e diffusione: la tipica smaltatura bianca e blu diventa celebre in tutta Europa. Nel corso della fase Qing (1644-1912) si affermano diverse "famiglie" di porcellana colorata, come la "famiglia rosa" e la "famiglia verde". Nel dettaglio, dalle pagine del ricercatore Edmund de Waal si comprende che alla base di tale produzione vige una solida organizzazione nel coordinare diversi specialisti:

“I documenti storici riportano ventitré distinti mestieri legati alla produzione della porcellana: sei categorie di decoratori, tre di specialisti nella chiusura dei forni, tre per i fornaciai, i formatori di stampi, i falegnami per le casse, i canestrai, gli addetti alla pulizia dei forni dalla cenere dopo la cottura, i miscelatori di argilla e i macinatori di ossidi, gli esperti della sistemazione del vaso all’interno della casella o della sistemazione delle caselle all’interno del forno, i facchini capaci di tenere in equilibrio sulle spalle due tavole di tazze impilate e affrontare sotto la pioggia una strada gremita di gente. E poi ci sono i mercanti e gli studiosi, i funzionari e i contabili, gli addetti a scrivere le etichette, i portieri, le guardie della manifattura imperiale”

Tuttavia, questa secolare tradizione subisce una drammatica battuta d’arresto con la rivoluzione culturale di Mao Tse-tung. Nel 1966 i vecchi maestri di Jingdezhen sono perseguitati e pesantemente oltraggiati. La produzione di porcellane è convertita nella fabbricazione seriale di statuette di Mao per scopi meramente ideologici.

Giappone

Le tecniche di produzione della porcellana si diffondono nel continente nipponico intorno al 1510. Il centro maggiore risiede nella città di Arita, dove si elaborano progressivamente i due distinti stili Imari e Kakiemon. In generale, le porcellane di Imari sono decorate con rappresentazioni di piante e temi floreali in blu cobalto e rosso ossido di ferro, su sfondo bianco. Nelle porcellane Kakiemon sono impiegati anche ulteriori colori a smalto come il verde e il rosa. Al di là della tradizione della porcellana, è interessante evidenziare che in Giappone nasce, in correlazione con la cerimonia del tè, la tecnica della ceramica Raku, grazie all’artigiano Chojiro  – nella seconda metà del XVI secolo. Con l’intento di plasmare ceramiche dall’aspetto consunto che incarni un ideale estetico di semplicità e povertà, Chojiro utilizza i materiali e le tecniche della produzione di tegole: argille sabbiose ed estrazione dal forno una volta raggiunto il punto di fusione del rivestimento. La cerimonia del tè è un rito che segue un codice di comportamento ben preciso e nasce nei monasteri buddisti, dove il consumo della bevanda ha un duplice scopo: prolungare lo stato di veglia dei monaci, durante la meditazione, e sostenerli nel raggiungimento della consapevolezza interiore. In generale, gli ospiti sono inginocchiati sul tatami, bevono dalla medesima tazza e si scambiano parole codificate da un frasario ben preciso. Il maestro del tè ruota la tazza tre volte nel palmo della mano, in modo da avere di fronte la decorazione interna, mentre chi viene servito deve vedere la decorazione esterna e a sua volta deve ruotarla per evitare di bere dal lato della decorazione. Ogni volta che un invitato beve, il recipiente Raku viene pulito prima di essere usato da un altro commensale. In realtà, queste ceramiche, che dovrebbero simboleggiare l’austerità, raggiungono ben presto prezzi elevatissimi, essendo oggetto del desiderio delle classi agiate. I pezzi più pregiati, ad esempio, diventano premi ambiti da samurai valorosi.  

La diffusione in Europa

I primi manufatti d’importazione risalgono al XIII secolo, l’epoca di Marco Polo. Verso la metà del Cinquecento i mercanti olandesi stabiliscono accordi commerciali nella città di Delft per acquistare la porcellana cinese. Successivamente, con l'estendersi dell'uso di bevande calde in tazza da tè, caffè e cioccolata, l’“oro bianco” diviene la mercanzia privilegiata dalle Compagnie delle Indie.

Meissen

Agli inizi del Settecento il barone Ehrenfried Walther von Tschirnhaus e il mitico alchimista Johann Friedrich Böttger, scoprono finalmente la formula per produrre la porcellana dura.  Böttger aveva commesso l’errore di inscenare la trasmutazione dell’argento in oro nel laboratorio berlinese del proprio datore di lavoro. L’elettore di Sassonia Augusto il Forte imprigiona l’alchimista imbroglione onde appropriarsi dell’arcano e della sua promessa di ricchezza, ma il risultato è il “diaspro-porcellana”, mescolanza di argilla rossa e quarzo simile a una pietra preziosa. A Böttger non è consentito arrendersi, quindi decide di abbinare argilla bianca e alabastro: non avrà ottenuto l’oro però è riuscito a ricreare la porcellana! La notizia fa il giro del mondo e viene fondata la manifattura di porcellane regia che detiene il monopolio della ricetta misteriosa fino alle defezioni di alcuni collaboratori i quali diffondono i segreti della porcellana nel resto del continente europeo. Lo stile Meissen si ispira inizialmente ai modelli orientali per poi evolversi in direzione dei dettami dell'arte barocca, rococò e neoclassica.

Napoli

Nel 1743 Carlo di Borbone fonda la Real Fabbrica di Porcellana di Capodimonte allo scopo di avviare una produzione che possa con il modello Meissen. Il sovrano ingaggia un numero consistente di operai e alcuni artigiani specializzati: Livio Vittorio Schepers e Giovanni Caselli, incaricati dell'impasto; lo scultore fiorentino Giuseppe Gricci; il pittore Giuseppe Della Torre. Ben presto la tradizione partenopea supera quella teutonica. Scheper, infatti, realizza l'impasto senza il caolino, fondendo argille provenienti dalle cave del Mezzogiorno con il feldspato per ottenere il particolare effetto che rende la produzione di Capodimonte unica nel suo genere: il colore latteo, la maggiore compattezza e la trasparenza. Il tenero impasto, inoltre, è plasmato con l’ausilio di stampi in gesso, finemente cesellati, nei quali viene colata la porcellana liquida, successivamente sottoposta ad una prima lunga cottura in forno. Ne deriva una creazione in biscuit di ceramica da dipingere a mano, mentre le composizioni floreali sono modellate manualmente dall'artigiano. Nel 1759, quando è incoronato Re di Spagna, Carlo trasferisce tutta la produzione presso il Palazzo Reale del Buen Retiro, a Madrid. Il figlio Ferdinando, dunque, avvia una nuova produzione di porcellane nella Reggia di Portici (1771) e dal 1773 nel Palazzo Reale di Napoli: nasce la Real Fabbrica Ferdinandea. Nel corso dei primi anni dell’Ottocento, infine, i conquistatori francesi vendono l’attività manifatturiera partenopea a imprenditori locali, tra cui Giovanni Poulard-Prad. Si mantiene in vita, così, una tradizione tuttora fervida e resa celebre dalla delicatezza dei tipici fiori della fabbrica di Capodimonte.

Sèvres e Limoges

Anche in Francia la porcellana è un articolo di lusso fortemente ambito dai reali. Basti ricordare che Re Sole costruisce per Madame de Montespan, la sua dama favorita, il Trianon de Porcelaine, un padiglione carico di vasellame: un rifugio dalle formalità di corte che offre un altrove da sogno. In seguito, il successore Luigi XV accorda alla manifattura di Sèvres il monopolio della produzione di pezzi finemente decorati e smaltati in oro e in colori intensi e brillanti. Nel 1767 si rinvengono depositi di caolino a Saint-Yrieix-la-Perche, nel Limosino ove ancora sorgono tante officine minori e indipendenti.

Plymouth e Worcester

In Gran Bretagna, d’altro canto, le manifatture sono imprese private, senza protezioni da parte della casa regnante. Verso la metà del Settecento, il chimico William Cookworthy di Plymouth, attraverso una serie di ostinati esperimenti, scopre che alcuni minerali della medesima natura di quelli che compongono la porcellana asiatica si trovano in quantità immense in Inghilterra. Nel 1751 viene fondata la manifattura di Worcester da un gruppo di imprenditori. Tali porcellane presentano un'alta resistenza al calore e, anche grazie all’invenzione della decalcomania, si dà un impulso significativo alla produzione massiccia di servizi da tè. Nel 1800 Josiah Spode aggiunge all'impasto cenere di ossa di animali, conferendo luminosità, resistenza e candore notevoli a questa tipologia inedita di porcellana, definita Bone China. Nel 1759 nasce la produzione della Wedgwood che mette a punto alcuni materiali innovativi i quali, tuttavia, non sono considerati porcellana: Queen's Ware, Basalto Nero e Jasper. Nel 1812 la Wedgwood sviluppa la Bone China, iniziando a produrre la Fine Bone China, a oggi ancora molto ambita dai potenti di tutto il mondo.

Weimar

In occasione della nomina di direttore del Bauhaus, a Weimar nel 1919, Walter Gropius dichiara che la scuola intende superare “quella presunzione classista che voleva innalzare un’arrogante barriera tra artigiani e artisti: Vogliamo, concepiamo, creiamo insieme il nuovo edificio del futuro”. Bauen (“edificare”, “costruire”), in tal senso, è un verbo che evoca l’apprendimento come processo di assemblaggio di varie parti, esattamente come avviene nel montaggio delle diverse componenti dei vasi. Al Bauhaus il vasaio impara a foggiare sul tornio elementi da unire per la composizione degli oggetti sotto la supervisione del maestro ceramista.

Porcellana contemporanea (alcuni esempi significativi)

Oggigiorno sono molteplici i festival, le biennali e le esposizioni dedicate all’arte della porcellana e della ceramica. È possibile, del resto, individuare una continua tensione alla sperimentazione. Caso emblematico è il Raku Punk, ossia una lavorazione trasgressiva della ceramica la quale richiede gesti precisi e al tempo stesso brutali: pezzi imbevuti di smalto caldo e di barbottina, smalto lanciato casualmente nel forno. Il fondatore di questa corrente radicale, Jean-François Bourlard, coniuga in un ossimoro due realtà distanti come il buddismo zen e il punk: “Il Raku Punk è il figlio bastardo del Dalai Lama e di Patti Smith”. Tale tipologia di ceramiche, infatti, è frutto dell’unione di gesti precisi e delicati (pratica zen) e di processi casuali e persino brutali (punk). I prodotti risultanti sono ruvidi, con lunghe creste di smalto, grezzi e fragili, testimonianze del desiderio di sbarazzarsi di preoccupazioni estetiche. Per comprendere appieno come possano convivere filosofie millenarie e attitudini sovversive  dell’attualità, ecco un assaggio delle  performance di Bourlard:  https://youtu.be/MV-1BXsm65M

Inoltre, il già citato ceramista Edmund de Waal sceglie di indagare la tradizione dell’“oro bianco” diluendo l’approccio filologico proprio del ricercatore con echi poetici. Qui la materia candida è plasmata in vista di una formazione spirituale lenta e sofferta: “Volevo fare porcellane che potessero essere piazzate alla rinfusa in un modo qualsiasi? O ero in grado di, per così dire, esigere qualcosa dal mondo, prenderne un pezzetto e dargli forma con maggiore coerenza?”.

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